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Ibo :"Un sogno svanito"

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Messaggio  dolores Sab Ago 06, 2011 3:57 pm

L’arrivo di forestieri a Dorumba è un evento raro. La notizia che alcuni turisti stavano cercando un passaggio in barca per andare alle Quirimbas aveva suscitato un certo fermento tra le capanne quel mattino. Uno stuolo di bambini e di ragazzi incuriositi si era accalcato intorno all’auto, alcuni ci davano indicazioni, altri consigli. Il capo villaggio ci indicò Osvaldo che con il suo barcone per una manciata di meticais ci avrebbe traghettato in un’isola da sogno e dopo un po’ di trattative con un altro pugno di monete un suo amico reperì un motore per il peschereccio, l’unico problema era la mancanza di benzina e noi non potevamo estrarla dalla nostra jeep. Mandarono un ragazzetto a recuperare il carburante in un posto vicino, le gambe sottili come fuscelli spingevano sui pedali della bicicletta le cui ruote senza gomme tracciavano un solco nel terreno sabbioso. Ritornò dopo tre ore con mezza tanica, entusiasta di aver guadagnato qualcosa da quegli stranieri capitati all’improvviso e Osvaldo radunò un gruppo di aiutanti per preparare l’imbarco. Lui venticinque anni con una moglie e una ciurma di bambini da sfamare era orgoglioso di essere considerato un pescatore esperto. Lei, la sua donna troneggiava da una sedia sghimbescia, il largo sorriso era circondato da un viso tondo ed ai lobi pendevano gli anelli semicoperti dal copricapo annodato a farfalla. Gestiva la vendita del pesce che veniva conservato dentro a congelatori alimentati da un generatore, un telo colorato divideva il punto vendita dai loro giacigli, tutto sotto una tettoia fatta con canne di bambù. Ci invitò a bere il te, felice di avere fra gli ospiti una signora con i capelli gialli. Il rumore di una scure usata da un marinaio per modellare un tronco scandiva i minuti : tam....tam....tam....ad ogni colpo pezzi di corteccia cadevano giù ed il pomeriggio sfumò tra il vociare dei bimbi e il canto delle donne che raccoglievano le chiocciole.
Sotto il cielo cupo la barca spinta da volonterosi uomini si mosse lentamente sull’acqua grigia del canale mentre una pioggia leggera cominciò ad inumidire i nostri capelli.
“Não deixar, não deixar mau tempo, mau tempo” ci urlò un pescatore dalla riva. Eravamo rimasti cinque ore ad aspettare questo momento e adesso in meno di una saremmo dovuti arrivare a Ibo ma quelle parole urlate al vento mi fecero trasalire. Lui era appena rientrato dal largo e quindi sapeva che era da imprudenti uscire con quelle nuvole minacciose stagliate all’orizzonte. Ammutolita lo guardavo mentre la corrente ci trasportava via, continuava a gesticolare diventando sempre più piccolo laggiù in mezzo al verde degli alberi, poi il suo profilo scomparve dalla mia vista. L’espressione accigliata di alcuni miei compagni di viaggio mi fece capire che la preoccupazione non si era impadronita solo di me.
La pioggia cominciò a battere insistente e seduta con la schiena appoggiata allo scafo mi trovavo al centro di un universo impetuoso e nero, basita fissavo un membro di quel maldestro equipaggio che con un secchio raccoglieva l’acqua filtrata dal fondo. “No, no, si deve fare marcia indietro”-dissi. Carlo chiese ad Osvaldo di rinunciare ma certo di perdere il denaro guadagnato a fine corsa, questo nemmeno lo ascoltò. Silenzio. Uscendo dal canale incontrammo la furia dell’oceano e un’ondata fece inclinare sul fianco la scricchiolante barca, mi sembrò di sprofondare, urlai come una dannata: “Vamos a voltar, voltar para Dorumba, querem nos matar?” “Não dinheiro se vá em frente. Para Deus volta!”
Feci una brutta impressione perché senza mostrare il proprio disappunto il nostro Caronte virò puntando la prua verso la costa. Il pescatore vedendoci rientrare accennò un timido saluto, l’acqua ormai toccava i rami delle mangrovie protesi in basso e della spiaggia coperta con l’intricato ricamo di radici non era rimasto che un solo stretto lembo isolato, la nostra jeep era parcheggiata lontano, al di là di quell’immensa calda piscina formata dall’alta marea. In un attimo fu buio pesto, la donna dal largo sorriso era ancora seduta sul suo trono e stava mangiando alla fioca luce di una lampada ad olio. L’alone della nostra torcia fendeva l’oscurità mostrandoci il percorso dentro quella vasca naturale, immersi fino alla cintola raggiungemmo le prime capanne ai bordi del villaggio lasciando la tettoia fatta con canne di bambù e l’isola da sogno alle nostre spalle. Adeus, boa noite…Domani sarà un altro giorno e decideremo cosa fare, per ora si torna da Açimo, si torna a Pangane. Durante la cena quella sera, si parlava della disavventura vissuta, qualcuno lasciò intendere che mi ero trasformata in una strega: “ la strega dai capelli gialli”.
Tratto da "I miei racconti di viaggio" di dibi alias Dolores

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