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Breve Etiopia

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Messaggio  darioca Lun Set 06, 2010 12:13 am

Breve pechè si è trattato di un solo giorno come sosta sulla strada di ritorno dalla Tanzania.

Pernotteremo ad Addis Abeba ed il giorno dopo ci dirigeremo a Debre Libanos con l’intenzione di recarci a visitare il santuario ma soprattutto cercheremo di fotografare i babbuini gelada endemici del luogo. Per fare ciò dovremo recarci nei pressi del canyon della Rift Valley in fondo al quale scorre il Nilo Azzurro.

I babbuini gelada, in realtà sono endemici del nord dell’ Etiopia, sono la specie più spettacolare di babbuini i cui maschi, con il pelo lunghissimo, sono caratterizzati da una macchia rosso sangue a forma di cuore sul petto; per questo vengono anche chiamati i babbuini dal cuore rosso. Normalmente questi primati vivono sulle Semien Mountain ma da qualche anno c’è una “sconosciuta” colonia che sta crescendo costantemente tanto che pochi anni fa erano poche decine ed ora sono qualche centinaio.

Arriviamo ad Addis Abeba e dopo interminabili, ripetuti e fiscalissimi controlli di sicurezza, usciamo dall’aeroporto. Troviamo ad attenderci in nostro inviato. Si chiama Angelo (chissà perchè), parla molto bene l’Italiano ma ha un tono di voce da coro delle voci bianche.

Attraversiamo la città alle luci artificiali della sera. E’ bellissimo vedere tutte queste botteghe e baracche che espongono merce dai mille colori. Sembra ordinata, povera ma pulita. Il nostro albergo è situato in una zona cuscinetto tra quella più nuova e commerciale disseminata di grandi e lussuisi palazzi e quella più povera e popolare. La struttura è nuovissima, moderna e ben tenuta. All’ingresso dell’albergo c’è anche un metal detector. Il nostro accompagnatore, dopo aver preso accordi per l’indomani, ci lascia. Prendiamo possesso delle stanze. Sono molto ampie, ben arredate, pulite e comode. Facciamo una veloce doccia ed andiamo a cena al ristorante dell’albergo.

Dopo cena tutti a dormire, domani ci aspetta una levataccia, sveglia alle tre e partenza per le quattro. La notte, complice la stanchezza e la comodità della sistemazione, vola, ed in un batter d’occhio arriva l’ora di alzarci. Nonostante sia praticamente ancora notte ci servono la colazione. Scendiamo nella hall con i bagagli e saliamo sul nostro autobus. La città ancora dorme e non incontriamo per niente traffico.

Usciti dalla città ci aspettano circa duecento chilometri di strada asfaltata. Non dovremo attraversare nessun centro abitato e comunque la circolazione di mezzi è ridotta all’osso. Incontriamo solo Cinesi (pure qua!). Angelo ci spiega che sono operai di ditte Cinesi che si sono appaltate la manutenzione delle strade. Il nostro aubus è molto lento, sulle salite non superiamo la fantastica velocità di trenta all’ora, per fortuna però riusciamo a raggiungere sul piano anche i settanta. La cosa però non dispiace ed anzi questa andatura lenta favorisce l’abbiocco.

Mi risveglio che siamo praticamente arrivati. Siamo giunti giusto in tempo per il sorgere del sole. C’è fresco e tira un bel venticello, siamo comunque a quasi duemilacinquecento metri d’altezza. Il cielo è velato da una leggera foschia, di certo non ottimale per le foto. Ci incamminiamo a piedi verso il bordo del canyon, il sole comincia ad illuminarne il fondo fino a quel momento nascosto dall’ombra.

Per ora dei babbuini nemmeno l’ombra. Il bordo del canyon è a strapiombo sul con dislivello di almeno trecento metri. I babbuini trovano rifugio per la notte nelle cavità della parete rocciosa ed escono solo al mattino quando il sole comincia a riscaldare l’aria. Ne frattempo notiamo delle persone che dal fondo della valle, con dei pesanti fagotti in bilico sulla testa, risalgono le pareti del canyon arrampicandosi per dei ripidi sentieri spesso con l’ausilio di corde.

Ci guardano incuriositi, siamo un gruppo di occidentali seduti sul bordo del canyon, con le macchine fotografiche in mano ad aspettare chissà che. Sarei stato curioso anch’io.

Passa un po di tempo e notiamo un primo piccolo gruppo di babbuini risalire il pendio. Procedono molto lentamete verso una piccola sporgenza già illuminata dal sole. La raggiungono e si mettono con la schiena rivolta verso il sole per catturarne il calore. Uno di loro si posiziona esattamente in prossimità del ciglio del canyon, shiena rivolta al sole e sguardo verso il basso. In sottofondo si sente la nenia della preghiera che proviene dal santuario. Il babbuino sembra essere in contemplazione, i raggi del sole illuminano le estremità del suo lungo pelo agiatato dal vento, lo sguardo rivolto fisso verso il fondo del canyon e la schiena ricurva su se stessa.

L’atmosfera è magica. Cerchiamo di avvicinarci ai babbuini percorrendo dei sentieri che corrono lungo il bordo del canyon, ma questi appena ci scorgono spariscono velocemente tra la bassa vegetazione spinosa. Decidiamo di aspettare ancora un po. Nel frattempo l’aria si è iniziata a scaldare ed iniziamo a vedere parecchi rapaci tra cui gli avvoltoi, l’aquila di Verraux ed il Gipeto. Sono tutti rapaci che per volare sfruttano le correnti termiche che risalgono le pareti del canyon. Facciamo qualche foto e poi decidiamo di spostarci più a valle.

Percorriamo a piedi un sentiero che scorre lungo il bordo del canyon, la vegetazione è molto bassa ma particolarmente fastidiosa. Piccoli cespugli spinosi che continuamente agganciano i pantaloni e non di rado ne passano il tessuto.

All’improvviso dopo aver fatto un paio di chilometri, in prossimità di un picco di roccia illuminato dal sole che si slancia verso il canyon, notiamo un bel gruppo di babbuini, sranno una trentina. Sono lì fermi a godersi il sole ed a spulciarsi tra di loro (grooming). Ci dividiamo e cerchiamo di accerchiarli in modo da non lasciragli vie di fuga, sembrano però non essere infastiditi dalla nostra presenza.

In effetti è così, riusciamo ad avvicinarci anche ad un decina di metri da loro. Dopo aver passato qualche ora con loro a scattare fotografie, visto che comincia a fare decisamente caldo, decidiamo di andare a visitare il monastero.

In fondo alla vallata spicca il monastero di Debre Libanos, situato sulla sponda del fiume Jema, è uno dei più famosi e popolari monasteri del XIII secolo. E’ stato teatro di uno dei peggiori misfatti della colonizzazione italiana. Nel 1937, gli uomini del maresciallo Graziani, massacrarono a sangue freddo un numero imprecisato (sicuramente più di 1400, probabilmente più di 2000) di monaci e pellegrini. Fu un’ azione intentata per vendicare un fallito attentato al gerarca dal momento che sembrava che i due attentatori cercarono rifugio proprio nel tempio.

Con un po di titubanza ci incamminiamo verso il monastero. In realtà la struttura attuale è una chiesa costruita nel 1961 per volontà di Hailé Selassié, dell’antico edificio non resta più nulla perché è stato distrutto nelle lotte secolari tra cristiani e musulmani. Oggi è un centro di culto della religione copta.

Lungo la strada vediamo tanti pellegrini e tanti monaci. Arriviamo al monastero. Ci accoglie il custode che ci farà anche da cicerone. Prima di entrare bisogna togliersi le scarpe. L’interno è molto poco illuminato dalla poca luce che filtra da grandi vetrate colorate. Si tratta di un unico ambiente diviso da dei pannelli divisori in legno. Ci sono delle persone che pregano ed anche altri turisti. Faccio qualche foto e poi esco, complice anche il cattivo odore non mi sento a mio agio.

L’esterno del monastero è circondato da un grande giardino dove spesso si accampano i pellegrini. Ci sono molti di loro in contemplazione o che leggono le scritture sacre all’ombra degli alberi.

Usciamo tutti dal monastero e pensiamo a cosa fare. Decidiamo di andare a pranzo, a visitare un mercato in un vicino villaggio e poi tornare a vedere se ritroviamo i babbuini. Angelo si offre di accompagnarci in un ristorante. Arriviamo al ristorante, una struttura moderna e pulita. Decidiamo di mangiare qualcosa di tipico. Ordiniamo quasi tutti il “tebs” (carne cotta con cipolla, kibe e peperoncino fresco), una sorta di spezzatino che si accompagna con una specie di piadina molto morbida servita arrotolata come un papiro. Decisamente gustosa, pensavo peggio.

Mangiamo con calma e poi ci dirigiamo verso il vicino villaggio di Fiche con l’intento di visitare il mercato. Arriviamo sul posto e Angelo ci fa scendere in una baraonda di gente. Ci sono venditori di tutti i tipi, vendono di tutto, ma soprattutto sementi e frutta. La gente è molto ospitale e sorride al nostro passaggio. In questo posto raramente vedono turisti. Proviamo a fare qualche foto qualcuno sorride e si diverte, altri non vogliono essere fotograti e non non insistiamo. La sensazione è decisamente di caos, non esiste un ordine, in certi posti rimani schiacciato tra le persone dalla tanta gente che c’è. A tratti c’è un forte odore di spezie, in altri posti ci sono odori nauseabondi.

Facciamo il giro del mercato seguiti dall’immancabile stola di bambini che ci chiedono di continuo semplicemente di essere fotagrafati e di rivedersi sul monitor della macchina fotografica. E noi li accontentiamo.

Terminata la visita facciamo ritorno al canyon con l’intenzione di fare qualche altra foto ai babbuini alla luce del tramonto. Niente da fare, non li troviamo, ci dobbiamo accontentare di qualche foto agli avvoltoi ed ai nibbi che ci volteggiano sulla testa.

Dobbiamo ritornare ad Addis Abeba, c’è molta strada da fare e stasera abbiamo il volo per tornare in Italia. Risaliamo sul nostro torpedone, impieghiamo quasi tre ore per arrivare ad Addis Abeba. Lungo la strada dal finestrino dell’autobus vediamo molti contadini impegnati nella coltivazione del tef, i cereale locale.

Arriviamo in città, è comunque presto per andare in aeroporto, l’aereo parte a mezzanotte e sono solo le sette di sera. Decidiamo di farci consigliare un altro ristorante da Angelo. Ci porta in un posto situato in un quartiere popolare pieno di baracche in lamiera. Lo stesso ristorante è fatto in lamiere ondulate ed è sottoposto al livello stradale. Siamo molto scettici, ma appena scese le scale entriamo in un ambiente molto curato, pulito, accogliente ed elegantemente arredato in stile Etiope. Rimaniamo sbigottiti.

Scopriamo poi essere uno dei ristoranti più quotati di Addis Abeba, è frequentato da molti turisti ed incontriamo anche dei missionari Italiani. Ci accomodiamo sulle basse sedie con alte spalliere accostate ad degli altrettanto bassi tavolini. Ordiniamo da bere delle birre ed Angelo ci invita ad assaggiare “l’idromele”. Lo facciamo ma non piace quasi a nessuno, ha un sapore simile alla nostra grappa ma più aspro e un po più annacquato.

Per cena ordiniamo l’Injera. Si tratta di pane lievitato e spugnoso sul quale si servono quasi tutti i piatti, simile ad una cialda ricavato ad una miscela di Teff, (il cereale locale ed acqua.), sottile e di un color grigio-chiaro e grigio spento. Riveste l’interno del gran piatto da portata, da cui tutti dovranno attingere, che contiene, al centro, mucchietti di saporita carne di montone o di bue, circondata da salsine multicolori, ma tutte tremendamente piccanti. L’injera è disposta a strati sopra i Mesob, cioè speciali supporti di paglia colorati, decorati finemente ed intrecciati. Le buone maniere del luogo insegnano che questo piatto vada mangiato rigorosamente con le mani. Si stacca un pezzo di injera, tanto per intenderci quella che sembra una sfoglia di gomma piuma, si poggia sui pezzettini di carne e poi si fa in modo di pescare uno o più, si intinge in una o più salsine e poi si mangia.

Prima di servire la cena passano al tavolo con una brocca di acqua calda e sapne pe farti lavare le mani. Ti porgono poi degli asciugamani arrotolati imbevuti di vapore bollente.

Alcune salsine sono veramente molto piccanti e facciamo fatica a finirle. Assistiamo anche a dei balletti tipici fatti da ballerini e ballerine estremamente snodabili. Arriva il momento di andare, chiediamo il conto e con estrema sorpresa ci rendiamo conto che mangiare fuori in Etiopia è decisamente conveniente. Per una cena abbondante in un ristorante rinomato si spendono mediamente sette-otto euro tutto compreso.

Risaliamo sul nostro autobus ed in meno di dieci minuti siamo in aeroporto. Salutiamo Angelo e ci dirigiamo con i bagagli verso l’entrata dell’aeroporto. Già prima di entrare ci controllano documenti, biglietto ed ispezione esterna dei bagagli. Sarà solo il primo di una serie di estenuanti controlli. In totale abbiamo subito tre controlli documenti, due controlli al metal detector ed un quasi interrogartorio al controllo passaporti. Tutti con code chilometriche, tant’è che stavamo per perdere il volo.

Spero comunque di tornarci in gennaio

Se vi interessano le foto le trovate sul mio sito

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Messaggio  MANDY Lun Set 06, 2010 12:25 am

Mi stai facendo venire un'idea a cui non avevo pensato...immagino che tu abbia viaggiato con ethiopian airlines per farmarti in Etiopia...in realtà la conosco pochissimo come compagnia...ma non so perchè mi fa un po' paura...son seri? So che è tra le piu' quotate per andare in Tanzania pero'...
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Messaggio  darioca Lun Set 06, 2010 12:30 am

L'ho trovata molto meglio di tante compagnie occidentali. Aerei nuovi, servizio impeccabile e massima serietà e disponibilità. Anche io ero scettico ma devo dire che mi ha piacevolmente sorpreso, sono un riferimento per l'Africa centro orientale Wink

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Messaggio  MANDY Mar Set 14, 2010 3:54 pm

Stiam cominciando a studiare...immagino che lo stop in Etiopia si possa fare solo al ritorno per il discorso febbre gialla....volevo chiederti, come hai fatto a prendere contatti per un solo giorno in Etiopia? Eventualmente sapresti a chi indirizzarci?
Grazie!!!
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Messaggio  darioca Mar Set 14, 2010 4:20 pm

Guarda non saprei come indirizzarti se non di chiedere all'utente Memy dello Juzaforum. Il viaggio lo ha organizzato tutto lui ed è lui che ha dei contatta. Prova a chiedergli è molto disponibile e gentile Wink

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Messaggio  MANDY Mar Set 14, 2010 5:14 pm

Grazie!lo faremo sicuramente...ma invece, dimmi, quando si dice controlli serrati per uscire dall'aereoporto cosa si intende?
La Farnesina scrive di esser precisi secondo tutte le loro direttive...che sarebbero?
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Messaggio  MANDY Mar Set 14, 2010 5:16 pm

E tu avevi fatto vaccino febbre gialla?
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Messaggio  darioca Mar Set 14, 2010 5:58 pm

Si lo avevo fatto. In realtà per l'andata avendo fatto solo scalo in Etiopia non sarebbe stato necessario, salvo poi che alla fine al Kilimanjaro me lo hanno chiesto. In Etiopia sia all'andata che al ritorno non lo hano richiesto. Io avevo comunque preferito farlo, dura 10 anni e così sto a posto anche per futuri viaggi.

Per i controlli in aeroporto io li ho trovati molto fiscali sulla documentazione ma soprattutto sulla sicurezza.

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