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Il Deserto vuole cosi'

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Messaggio  Radaelli Paola Mar Set 07, 2010 10:20 pm

Il Deserto vuole così



E’ l’ultima sera nel deserto, desideriamo festeggiare questi momenti indimenticabili, ridiamo, seduti per terra sui cuscini, mentre le macchine ci proteggono dalla tempesta di sabbia in corso. Il tempo avverso ci avvicina e rende più emozionante gli ultimi momenti. Di fianco a noi i tuareg sono raccolti intorno al fuoco e chiacchierano, probabilmente delle loro famiglie, che rivedranno presto, ogni tanto vengono a vedere come stiamo. Dispiaciuti di separarci chiediamo di raggiungerci sui cuscini per l’ultima sera, ma il capo tuareg ci risponde invitandoci a raggiungerli intorno al fuoco, perché “ il Deserto vuole così”.


Desideriamo immergerci completamente nella bellezza della natura, addormentarci guardando le stelle e fare correre lo sguardo fino all’infinito. Allora nell’aprile del 2010 abbiamo deciso di andare in Libia per camminare nel deserto del Jebel Acacus e attraversare in macchina, con intervalli a piedi, l’Ideham Murzuq.
Prima di addentrarci nell’Acacus visitiamo i laghi Mandara e Umm el Maa, sono laghi salati circondati dal deserto e si stanno progressivamente asciugando. I colori sono affascinanti, la sabbia rossiccia del deserto è interrotta da palme, mimose, tamerici, canne e dall’acqua blu del lago. Ci sono delle rondini e moltissime zanzare. Un tempo i laghi potevano garantire il sostentamento di alcuni villaggi, ma il loro progressivo inaridimento ha costretto la popolazione a trasferirsi altrove. La nostra guida ci racconta che due persone non volevano assolutamente lasciare questo posto affascinante, ad un certo punto uno dei due è stato colpito da un raptus di follia e ha dato fuoco a palme, tamerici e mimose. Dopo questo fatto, anche loro hanno lasciato i laghi e sono rimasti solo i resti del raptus di follia.
Riprendiamo le macchine per raggiungere lo Jebel Acacus. All’arrivo le distese desertiche sono incorniciate da nubi minacciose, nere e rosse per il tramonto.
Lo Jebel Acacus è un deserto di roccia, le montagne di basalto scuro talvolta sono adornate da dune di sabbia, formata dallo sgretolamento della roccia. Durante il giorno il caldo si fa sentire, ma il paesaggio è talmente privo di limiti e le linee delle dune così nitide e sinuose, che non ci si stanca di ammirare. Durante la notte , invece, siamo rimasti di stucco nel trovarci sotto un’acquazone nel deserto, mentre i tuareg saltellano di gioia e si abbracciavano, per loro quell’acqua è vita. Finito l’acquazzone ci troviamo immersi in un profondo silenzio, tutto tace e nulla si muove per un po’, poi inizia la tempesta di sabbia, che sembra volersi portare via le nostre tende, per chi le ha montate. Il mattino possiamo dire di aver passato una notte molto vivace. Tuttavia il clima può essere ben peggiore, infatti camminando troviamo della sabbia fusa da lampi caduti nel deserto, questi non li abbiamo provati. Continuando il nostro cammino raggiungiamo il fondo di una gola dove la montagna crea un enorme portico, e le pareti sono coperte di dipinti e bassorilievi che risalgono da 8.000 a 4.000 anni a.C.. I dipinti e bassorilievi sono frequenti sulle pareti delle montagne di questa zona, tanto che lo Jebel Acacus è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco per le raffigurazioni rupestri. Vediamo raffigurate giraffe, aironi, scene di caccia, uomini che cercano di salire sugli alberi, donne gravide enormi rispetto agli uomini, probabilmente erano civiltà matriarcali.
Dopo alcuni giorni ci avviamo verso l’Idehan Murzuq (Mare di Sabbia di Murzuq), un deserto di sabbia dal diametro di 420 km e superficie di 35.000 kmq, non vi è assolutamente nulla, tranne sabbia.
La dimensione dell’Herg Murzuq è tale che l’attraversamento può essere fatto solo da guide molto esperte, in quanto è facile perdersi o rimanere insabbiati. Le dune sono molto alte ed inaccessibili, tanto che sono pochi gli ingressi in quest’area enorme. Il principale è il Colle di Anai, dove una stazione di polizia controlla i visti di ingresso, un altro è nelle vicinanze della città di Murzuq. Arrivati al Colle di Anai scopriamo che il nostro visto è stato revocato, allora i tuareg chiedono di modificare l’ingresso usando una via secondaria, che corre lungo laghi pietrificati. La polizia acconsente, pertanto inizia la ricerca dell’ingresso secondario. Dopo quasi due giorni di tentativi infruttuosi, improvvisamente ci accorgiamo che stiamo viaggiando su un’enorme superficie piatta circondata da altissime dune, siamo sul fondo del primo lago pietrificato. Del lago è rimasto solo il fondo perfettamente piatto. Le dune sono di colore senape rossiccio, sono completamente prive di copertura vegetale, completamente nude. L’occhio segue le linee talvolta dritte, talvolta sinuose della cresta delle dune, l’alternarsi di luci ed ombre è molto armonioso, le linee delle creste sono arricchite dalle greche composte dal vento sui dorsi delle dune. Il mattino, quando la temperatura è ancora piacevole, ci incamminiamo a piedi sulle dume con la nostra guida. Camminare sulla sabbia è faticoso, è preferibile camminare in vetta per mantenere l’orientamento e per ammirare il paesaggio, però ci si deve impegnare a mantenere l’equilibrio. Ogni tanto ci fremiamo a riposarci e ad ammirare la distesa di sabbia, mentre la nostra guida si siede a terra e non smette di ammirare il suo Deserto, sembra che voglia raccogliere il maggior numero di ricordi. Quando il campo è smontato le macchine ci raggiungono, proseguiamo per giorni percorrendo sempre il fondo di nuovi laghi pietrificati. Cerchiamo di immaginare come era stato il paesaggio prima della desertificazione, sicuramente splendidamente lussureggiante. Sulle rive dei laghi esistevano molti villaggi, le cui tracce troviamo lungo il nostro cammino, troviamo resti di vasellame, macine, lance e grattatoi. Questi segni di una vita passata rendono ancora più intenso il silenzio e la totale assenza di persone. Verso mezzo giorno la temperatura si alza troppo, le macchine non possono proseguire, perché la sabbia è diventa sdrucciolevole per il caldo, quindi ci fermiamo a mangiare all’ombra delle macchine. Aspettiamo fino a metà pomeriggio dormendo, chiacchierando e giocando.
Il paesaggio è sempre uguale, le dune si susseguono con i laghi pietrificati, sembra, fino all’infinito, però i colori cambiano con il percorso del sole. All’aurora il cielo non si tinge di rosso, i luoghi si illuminano con una luce fiocca, prima che si alzi il sole, le tinte hanno una punta di grigio e scuro. All’alba i colori sono brillanti, gialli, rosso, arancione, marrone, alternati dalle ombre scure e sormontati dal cielo blu con nubi bianche rossicce. Quando il sole di alza nel cielo la luce è così forte che i colori diventano sbiaditi, tutto si schiarisce. La sera prima del tramonto tornano i colori gialli, rossiccio e marrone, le ombre iniziano ad allungarsi fino a quando le nubi si tingono di rosso intenso e gli ultimi raggi di sole scompaiono. La notte vorremmo vedere le stelle, ma generalmente sono coperte dalle nubi.
La sera torna immancabilmente la tempesta, prima acqua battente, seguita dalla tempesta di sabbia. Ormai ci siamo quasi abituati, ma non smettiamo di stupirci nel vedere tanta acqua nel deserto. Il rischio di rimanere insabbiati e senza acqua è tale, che i tuareg ci hanno proibito di lavarci durante tutto l’attraversamento dell’Herg Murzuq. L’acqua è razionata ed usata solo per cucinare e bere. Prima di iniziare l’attraversamento si sono fermati a rifare i rifornimenti di acqua da un pozzo che preleva acqua da una falda “preistorica” la chiamano acqua fossile, l’acqua viene conservata in taniche e in una pelle di capra. Durante i giorni successivi non abbiamo altri rifornimenti di acqua. Solo vicini all’uscita dal Murzuq ci viene segnalato un altro pozzo, scoperto di recente mentre veniva cercato il petrolio. L’acqua qui scorre senza interruzione, allora ci possiamo permettere di fare una interminabile e fantastica doccia.
Come l’acqua, anche i mezzi di trasporto sono necessari per entrare e indispensabili per uscire dall’Ideham Murzuq. Il percorso nel deserto inizia quando si sgonfiano le gomme delle macchine, così da facilitare l’aderenza al fondo sabbioso. Le auto proseguono in fila indiana, l’auto del capo guida apre la strada, sale per primo sulle dune e fa segno di seguire, quando il percorso è fattibile. Invece quando dall’altra parte le dune sono troppo alte e ripide, senza via d’uscita, il capo guida fa segno di fermarsi e ridiscende la duna. Anche la tecnica per salire le dune è studiata con attenzione : si accelera fino a quando si è vicini alla cresta, qui si decelera come per fermarsi in cima, si raggiunge la cresta con dolcezza e si sterza per far adagiare una ruota dall’altra parte senza insabbiare il muso. Quando si decelera troppo presto la macchina si insabbia prima della cresta o sulla cresta stessa, quindi arrivano le altre guide in aiuto. Lo stesso avviene quando una macchina si rompe, allora i tuareg si danno da fare per ripararla e tenere duro il più possibile.
Durante tutto il viaggio i tuareg ci preparano il loro cibo, a mezzo giorno riso o cous cous e verdura come pomodori, cipolle, fagioli e patate lesse. La sera c’è sempre la chorba, una minestra in cui sono state cotte le verdure, come patate, zucchine, cipolle e della carne. Il deserto è un luogo asettico, il caldo e il clima secco non permettono ai batteri di svilupparsi, quindi la nostra carne è conservata ad essiccare sul cofano delle macchine. Qualche sera i tuareg ci preparano la carne di montone cotta sul fuoco e il pane cotto sotto la sabbia. La farina viene impastata con l’acqua fino a formare un impasto liscio, l’impasto viene appiattito ad uno spessore di circa un centimetro e viene riposto sotto la sabbia su cui era stato acceso il fuoco. Ovviamente le braci erano state rimosse in precedenza. Dopo venti minuti circa il pane viene estratto dalla sabbia cotto, viene asportata la parte entrata in contatto con la sabbia e può essere mangiato. L’uso migliore è spezzettato nella chorba, perché assorbe il liquido rimanendo croccante ai lati. Qualche volta ci fanno assaggiare il the tuareg, preparato con il the gun powder, lasciato in infusione fino a diventare molto concentrato e travasato di bicchiere in bicchiere fino a formare una schiuma in superficie.
Dopo aver trascorso diverse notti nell’Idehan Murzuq il nostro viaggio giunge alla fine. L’ultima sera ovviamente non può mancare l’ultimo scroscio di acqua, ma la tempesta di sabbia inizia prima del solito, ancora prima del tramonto. Quindi possiamo assistere ad un tramonto nella tempesta di sabbia, con gli occhi socchiusi, non ci siamo muniti di maschere subacquee. Dopo aver cenato raggiungiamo i tuareg intorno al fuoco. A loro piace cantare, conversare è un po’ difficile, noi preferiamo ballare e alterniamo il canto e il ballo. Questa sera decidiamo di dormire sotto le stelle, nonostante la tempesta e il rischio di pioggia, non si può perdere l’ultima notte nel deserto.
Al risveglio la tempesta non è ancora finita, quindi assistiamo anche all’alba sotto la tempesta di sabbia e così per tutto il percorso del giorno successivo. In questa zona la sabbia è più chiara, come il latte, e il contrasto con le ombre e le rocce nere è ancora più forte.
Purtroppo dobbiamo riprendere le macchine e lasciare definitivamente il Mare di Sabbia avviandoci al paese di Murzuq. Mentre percorriamo l’altopiano incontriamo la prima macchina, le nostre guide scendono e continuano ad abbracciarsi, sapremo dopo che sono fratelli. Raggiungiamo un campeggio circondato da una coltivazione di agrumi e da alte tamerici. Qui , protetti dagli alberi, per la prima volta il vento cessa, i sibili sono sostituiti dal canto degli uccelli e dall’acqua che scorre per innaffiare le piante, che ci proteggono con le loro fronde..
Prima di partire pranziamo con i tuareg, che ci parlano un po’ di loro. Il capo, Mustafà, è una persona molto preparata ed orgogliosa. Propone sempre giochi matematici,che non riusciamo a risolvere, poi scopriamo che lavora come geometra, si occupa della costruzione delle case per la popolazione che lascia il deserto. Quando c’è poco lavoro come geometra, lavora come guida e quando il caldo non permette di lavorare, torna nel deserto con la sua famiglia per accudire i cammelli. Il suo lavoro ha uno scopo: risparmiare per poter sposare una donna a cui r offrire una vita agiata. Tutte le guide posseggono il loro fuoristrada, parlano correntemente almeno due lingue e per tutto il percorso hanno consultato il loro computer portatile. Non posso che ammirare questa fusione tra vita nomade e capacità tecnologiche.
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Radaelli Paola

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