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INDIMENTICABILE MALI

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Messaggio  borgogniels Gio Set 09, 2010 9:13 pm

INDIMENTICABILE MALI

Presentiamoci brevemente: siamo una famiglia composta da quattro persone e un amico, reduci tutti e cinque da un bellissimo viaggio “responsabile” in Mali organizzato da Maya Voyages. Più che dare consigli o ricostruire l’itinerario percorso, quello classico, Bamako, Mopti, Djenne, la navigazione sul Niger, Timbuktu e il deserto, i villaggi Dogon, i grandiosi paesaggi in generale, le grandi moschee di fango, i mercati colorati e gli altri luoghi in particolare, ognuno di noi, secondo il proprio punto di vista, ha voluto riassumere le proprie impressioni, le emozioni e i momenti secondo lui più significativi e memorabili del nostro tour.

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Il gran capo

Ancora una volta mi sono fatto trascinare in un viaggio oltremare. Mi sarebbe tanto piaciuto passare il Natale in montagna! Invece no, di nuovo su e giù per l’aereo (anche se devo confessare che otto ore con AIR MAROC con frettolosa sosta a Casablanca non sono stati faticosi, e il clima a dicembre è gradevole - insomma, non si schiatta come per andare in Cina, dove, quando scendi a are scalo a Bahrain ti viene il collasso). Poi ancora, montagne di valigie. Moltissime stavolta, portiamo vestiti smessi e nuovi, materiale scolastico, giocatoli e quant’altro ritenuto (erroneamente) indispensabile per l’Africa, 40 chili di bagaglio in stiva a testa, borse a mano strapiene e diversi strati di abbigliamento addosso, quanto peso! Infine, da non dimenticare, la trafila di vaccinazioni per garantirci un tranquillo soggiorno. Siamo stati in ballo un paio di mesi, dal richiamo della polio alla profilassi antimeningococcica, da tutto l’alfabeto delle epatiti, a tetano e tifo, dall’obbligatoria puntura contro la febbre gialla (quella col libretto in tinta che poi nessuno controlla) e le varie compresse contro colera, vendetta di Montezuma e maledizione del Faraone. Buchi ed ematomi riempiono il nostro corpo, in compenso il portafoglio si svuota. Solo l’antimalarico è gratis, poi ci rendiamo conto perché.

Avrete capito, sono un viaggiatore ansioso e riluttante, partire è tutte le volte un dramma. Ma giunto a destinazione mi passa tutto, vivo le giornate intensamente, rilassato.

Così è stato anche in Mali. Qualcuno ci ha detto che eravamo matti, che è un paese difficile, che poteva succedere chissà che cosa (“Ma andate giù armati, spero!?!”). Certo, è un paese povero dove manca spesso tutto, ma che ha ancora una natura così primordiale e intatta, gente genuina e buona, e un ritmo di vita invidiabile. Se penso alla coda che faccio tutte le mattine per portare i ragazzi a scuola, per andare al lavoro, per fare la spesa al centro commerciale!

Lì, ci si sposta lentamente, come i ragazzi sul carretto che tornano col carico di fieno dai campi, oppure come il ciclista solitario nel deserto. La maggior parte della gente però va a piedi, magari con un secchio di trenta litri d’acqua o altrettanti chili di mercanzia o legname sulla testa come le tante instancabili donne, giovani e meno giovani, che vengono dai pozzi o vanno al mercato, spesso incinte oppure con l’ultimo pargolo legato sulla schiena, nascosto dalle fasce di tessuto colorato.


Che bello osservare la vita nei villaggi dal terrazzo delle tipiche abitazioni Dogon dove ci ha ospitato la nostra guida, Souleymane, o dalla sommità dei piccoli alberghi nei quali ci siamo fermati per la notte, dove i turisti possono dormire in tenda sui tetti e da dove non solo si può guardare infinitamente lontano e godere del panorama, ma anche sbirciare nei cortili animati da gente che lavora, cucina, mangia e vive la sua semplice, povera ma dignitosa esistenza.

Durante la lunga navigazione sul Niger, è stato altrettanto bello stare seduto comodamente in pinasse ad osservare le barche strapiene di gente e merci, talmente affollate che sembrano affogare da un momento all’altro, le tante piccole piroghe usate per pescare o per passare da una parte all’altra del fiume, la laboriosa vita lungo le rive che coinvolge uomini e donne, grandi e piccoli e che gira tutto intorno alla pesca, i simpatici ed imperturbabili aironi bianchi schierati lungo le sponde e infine i tanti viandanti che ci salutavano dai piccoli villaggi allineati lungo questo straordinario fiume. Dopo il Niger, ammiriamo il deserto con la sua scarsa vegetazione e la sabbia finissima che si solleva al nostro passaggio, lo straordinario paesaggio della falesia, i grandi baobab privi di foglie ma pieni di vita, gli accampamenti dei pastori nomadi, piccole carovane, asini e capre gironzolare per la savana o gruppi di buoi bloccarci la strada.

Vediamo scorrere il Mali davanti ai nostri occhi, senza affaticarci, seduti, ora un po’ meno comodamente, nel fuoristrada pieno di valigie, zaini, tende, scorte d’acqua, angurie, acquisti occasionali e ingombranti tra cui gli immancabili cappelli maliani. In cinque si sta “vicini vicini”, ma è anche più simpatico e divertente, perché ci si scambiano le proprie impressioni sul viaggio, ci si parla, si ride, si canta e si ascolta insieme musica africana, e chi è in pool position scatta la foto per l’altro incastrato sul sedile posteriore nell' attesa del proprio turno: “Lì, l’hai presa la carovana ? Io sono controluce… !”

Il Mali, come già in precedenza il Togo, visitato più di 20 anni fa, la Namibia, nel 1989 e il Senegal l’anno scorso, tutta l’Africa mi affascina, e desidero tornare presto.

Prima che scadano le vaccinazioni, intendo dire…

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L’amico Maurizio

Per me invece è la prima volta in assoluto che vado in Africa. Conosco i miei compagni d’avventura, siamo già stati in viaggio insieme, poi io non sono uno che ha dei problemi, faccio roccia, sono abituato alla fatica e mi adeguo. Ma non sono mai stato in un posto così, e non ho mai visto della gente così aperta, sorridente e cordiale. Che emozione, già il primo giorno di trasferimento, in occasione di una breve sosta lungo la strada, dove si svolgeva una festa locale: il gruppo di donne danzanti e cantanti mi ha preso per mano e condotto all’interno del loro cerchio, mi hanno drappeggiato una sciarpa di tessuto colorato intorno al collo, lo stesso dei loro bellissimi vestiti, e mi hanno invitato a ballare con loro, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Poche volte mi sono divertito così tanto, sentito così ben accolto in un paese straniero. I bambini e le ragazze nei villaggi mi hanno colpito moltissimo, simpaticissimi gli uni, bellissime le altre. Contrariamente a quanto sentito dagli amici a casa, qui la gente non è invadente. Anche se per strada ti vogliono vendere le loro cose, basta che cambi discorso, che fai delle domande, e la compravendita passa in secondo piano. Ma è troppo piacevole farsi coinvolgere nel rituale di offerta, contro-offerta e conclusione dell’affare che può durare tutto il tempo che vuoi o che ti serve per fare mentalmente il cambio di valuta o il calcolo del prezzo giusto, tra un terzo della cifra iniziale e mai meno della metà. Più o meno.
Le ragazze, grandi e piccole, sono abilissime, e più di una volta mi sono fatto convincere a prendere un’altra collana o l’ennesimo braccialetto.
Tanto, “C’est pas la même chose, pas la même chose !”..

Credo che sia vero, sembra tutto fatto a mano, ogni oggetto diverso l’uno dall’altro. Speriamo che non siano “made in China” come i turbanti tuareg che abbiamo acquistato a Timbuktu, prima dell’escursione nel deserto a cammello. Perdevano colore come se fossero stati autentici, dopo ci siamo lavati la faccia e il collo quasi con riluttante reverenza.
Abbiamo trovato la scritta traditrice al rientro in Italia. Che disincanto!

Assolutamente incantevoli invece i bambini, ne abbiamo incontrato tanti, tantissimi, bellissimi, spontanei e sorridenti, spesso scalzi e malvestiti, magrini e raffreddati, impolverati perché il vento ti avvolge di sabbia sottile sempre, ma non sempre c’è l’acqua in abbondanza come lungo il Niger dove li vedevamo fare il bagno, ma anche, piccolissimi, a lavare le stoviglie. Ma mi sembravano lo stesso contenti con i loro giochi semplici, come la vecchia ruota di una bicicletta oppure la slitta ricavata dal bidone di plastica rotto e tagliato a metà. Sempre ridenti, fiduciosi e incuriositi quando ci avvicinavamo. Mi ricordo l’emozione che ho provato, dopo la notte passata sul Niger, quando sono uscito dalla tenda e ho intravisto nell'ombra, quasi fossero fantasmi avvolti dalla nebbia mattutina, un gruppetto di bambini infreddoliti e silenziosi, pazientemente nell'attesa che ci svegliassimo per potersi avvicinare e scaldarsi alla brace del fuocherello che avevamo acceso la sera prima.

Mi hanno commosso questi poverissimi bimbi, con il loro rispetto e la loro umiltà, e non riesco a dimenticare la loro immagine, ancora accovacciati intorno al fuoco ormai quasi spento quando più tardi ci siamo allontanati con la nostra piroga per riprendere la navigazione. Che differenza con i nostri bambini capricciosi e eternamente insoddisfatti con il loro incessante ”Voglio questo, voglio quello!”

Di Timbuktu ricordo il barbiere, con il suo negozietto all’aperto e l’insegna appesa all’albero. Ci siamo fatti tagliare la barba e i cappelli, sullo sfondo il deserto dei tuareg. La tariffa era quella del mio parrucchiere a Sesto, una decina d’anni fa, l’esperienza impagabile, incomparabile. Memorabile anche la gita nel deserto, al tramonto. Avete mai visto un cammello steso per terra, sfinito dalla fatica ? Era il mio. Dovete sapere che qui tutte le donne mi chiedevano se ero “incinto”… gli uomini maliani di norma sono assolutamente magrissimi, snelli, longilinei … Insomma, tutto il contrario di me!

Al mercato artigianale di Bamako invece ho conosciuto un abilissimo incisore di legno. Stava lavorando ad una statua, una donna in ginocchio con il contenitore del miglio sulla testa. Non ho potuto resistere, me la sono comprata, anche se non era terminata, senza levigatura, senza rifinitura, ma la venatura del legno è bellissima. E’ rimasto stupito l’uomo, chissà se d’ora in poi mette nella sua gamma di prodotti in vendita anche opere incompiute: meriterebbero in ogni caso. In generale ho avuto la vaga, forse superficiale impressione che gli uomini lavorassero meno delle donne, ma certo lì al mercato artigianale si davano da fare tutti con un impegno e vigore. Per quanto riguarda la suddivisione dei compiti, ho notato con sorpresa che mentre le donne portano la legna e pesi pesantissimi, sono gli uomini ad occuparsi della tessitura. Anche il padre della nostra guida, anziano e simpaticissimo capofamiglia Dogon, era indaffarato a tessere una lunga striscia di cotone bianco in una piccola capanna, riparato dal sole. Vicino a lui le donne in cortile a pestare il miglio, in tre o quattro, con lunghi bastoni che fanno cadere vigorosamente a ritmo incessante alternandosi rapidamente, trovando pure il tempo di battere le mani, creando una sequenza di suoni cadenzata, melodica, tipicamente africana.

Mio amico ha già accennato al fatto che qui ci si sposta lentamente, ma qua e là spunta il tuareg con il caffettano svolazzante blu, su una delle moto cinesi (di nuovo!) che cominciano a circolare non solo in città e sulle poche strade asfaltate, ma anche in pieno deserto. Fa un certo effetto. Come i distributori dove si compra la benzina in bottiglie da un litro, i taxi, camion e i pulmini tutti colorati, ammaccati e rattoppati, strapieni di passeggeri e di carichi. Che altro dire, sono rimasto stregato da tutto quanto, questo viaggio è stato davvero bellissimo, e non sarà sicuramente l’ultima volta che andrò in Africa.

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"Le roi"

Sono Federico, il più giovane. Ho quattordici anni e per me questo viaggio rimarrà davvero indimenticabile.

Sono stato soprannominato dalla nostra guida “le roi” fin dall’inizio del tour, forse perché sono quello più pigro e più distratto. Caspita, mi perdo il Natale a casa, i regali, le interminabili ore davanti alla Playstation e la TV, due settimane di puro relax e abbuffate. In cambio mi trascinano in Africa in giro per mercati e villaggi. Non è che mi annoio, anzi, anch’io, come papà, una volta lì mi faccio coinvolgere. Prima cosa mi vesto come uno di loro, e tutti si divertono a vedermi. In Birmania la gente del posto si faceva fare la foto ricordo con me, e non viceversa.

Seconda cosa mi compro una maglietta di un calciatore della loro nazionale, in questo caso il numero 6, Diarra. Che nome buffo, ma l’associazione mi è venuta solo dopo.

La sera si organizzavano tornei di calcio fuori dagli alberghi, mi sono divertito un sacco. Una volta abbiamo giocato anche a calciobalilla, ma ci hanno stracciati!! Mali 9, Italia 1, che disfatta! Poi ho passato delle ore al mercato a parlare di calcio con gli uomini, mentre la mamma sceglieva anelli e collane. Ho vinto pure una partita a Warì contro un anziano del villaggio di Ireli, uno dei paesi Dogon che abbiamo visitato. Wari, o Mancala, è un vecchissimo gioco matematico africano dove si spostano dei semi su un tavoliere di legno (ma si può giocare anche nella sabbia), con lo scopo di fregarne il maggior numero possibile al proprio avversario. Ovviamente ne abbiamo comprato uno anche per noi, ma mio fratello non vuole giocare con me perché perde sempre.
Strano, perché in matematica è più bravo lui a scuola.
A parte questo, sono meno interessato a guardare il paesaggio o la gente in campagna senza poterci parlare. In piroga (mi piace più il termine pinasse) ho passato il tempo leggendo, è ideale, bello soleggiato ma anche ventilato, si sta benone. E’ stato pure divertente quando ci fermavamo per comprare il pesce o per le soste idrauliche (quelle quando cerchi un posto appartato dietro cespugli o termitai sparsi quà e là) oppure semplicemente perché c’erano delle persone lunga la via che ci salutavano. Allora si scendeva a terra, i bambini ti circondavano e gridavano “Toubab, toubab”, uomo bianco (non ce ne sono molti di uomini bianchi in giro, abbiamo visto veramente pochi turisti specialmente durante la navigazione sul Niger). A volte regalavamo dei palloncini, e allora tutti lì insieme a gonfiarli, perfino le mamme e i loro bébé più piccoli. Un po’ mi facevano impressione, erano contenti così, altro che Playstation e TV!

La TV c’è solo nelle città. Mi ricordo a Djenné, nella locanda di Chez Baba. Una sera, gli uomini erano tutti seduti in cortile a vedere una partita di calcio, e quando io e mio fratello siamo arrivati lì per guardare anche noi, in quattro e quattrotto ci hanno
steso un tappeto per terra, solo per noi.
Beh, sono “le roi”, o no ? Ero un po’ imbarazzato, per dire la verità, ma dopo abbiamo fatto il tifo, tutti insieme. Più imbarazzante è stato il mio attacco di malaria. Sì, perché una sera, preparando il campo con le tende lungo il Niger, mi sono sentito male, mi è salita la febbre a più di 40°C, e mia madre ha seriamente cominciato a preoccuparsi (non lo fa mai, dice sempre che sono un malato immaginario).
Per farla breve, il nostro skipper ci ha portato nottetempo a Diré che è una piccola cittadina lungo il fiume, dove c’è un ospedale.
Mi hanno ricoverato e dato del chinino, tre infusioni endovena. Montezuma e il Faraone si sono abbattuti violentemente su di me, dando molto da fare alla mamma che deve aver avuto qualche attimo di panico, con un unico pacchetto di fazzolettini di carta in un posto dove non si riusciva nemmeno a trovare l’acqua. Non ricordo molto della notte, comunque il giorno dopo mi sentivo meglio, e la sera stessa mi hanno dimesso. Per tutto il tempo avevo addosso la maglia di Diarra. Mi viene da ridere, con una “e” in più ci siamo. Sono dimagrito qualche chilo e cresciuto qualche centimetro.
Dopo un’altra notte in viaggio sul fiume siamo arrivati a Timbuktu, in un bellissimo albergo con dei grandi letti, e … un grande bagno attrezzato. Mi sono persa la visita della città perché ho praticamente dormito tutto il giorno.
La sera però siamo andati tutti all’Internet-cafè per comunicare al resto del mondo che ce l’avevo fatta. Finalmente di nuovo un video davanti ai miei occhi!!
Adesso dicono che vogliono tornare in Mali anche quest’anno. Beh, ci sto. A condizione che Natale lo festeggiamo prima della partenza, con albero, doni e canti, come si deve. E stavolta faccio il bagno nell’Autan, perché la profilassi antimalarica sarà anche gratis, ma non basta, ragazzi.

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Riccardo

Come sempre, a me tocca dopo mio fratello, lui deve essere sempre in prima linea. “Le roi”! Si è
pure ammalato di malaria. Non gli avrei mai perdonato se avessimo dovuto interrompere il nostro
tour per tornare in Italia!
A me piace tanto viaggiare. In Africa poi è speciale perché la gente è così simpatica e gentile. Mi diverto un sacco. La giornata che abbiamo passato alla scuola è stata troppo forte. C’erano tutti anche se c’erano le vacanze. Perfino gli insegnanti e qualcuno di quelli più grandi che avevano già finito le elementari erano venuti a salutarci, fenomenale. E arrampicati sui muri c’erano pure i ragazzi del quartiere, quelli che non frequentano la scuola perché i genitori non se lo possono permettere, e sembravano invidiosi. Ho capito quanto è importante poter andare a scuola, anche se a volte non ti piace. Ci hanno recitato delle poesie e cantato delle canzoni, conoscevano perfino “Bella ciao”. C’era un bambino vestito con un abito nero, tipo frac. Era tutto serio e non giocava per paura forse di sporcarsi. Gli altri invece erano tutti scatenati anche se avevano messi i loro vestiti più belli per l’occasione. Le aule della scuola sono piccole, ma c’è un grande cortile dove si può correre e giocare.
Purtroppo quando gli attrezzi si rompono nessuno li può aggiustare, oppure non ci sono i soldi per farlo. Qui la gente è veramente povera. Un insegnante prende circa 30 Euro al mese, pazzesco, io li spendo per le merendine e il cellulare. I miei mi dicono che non devo sentirmi in colpa, ma che devo sempre ricordarmi che c’è qualcuno che è meno fortunato di me, che non può frequentare a scuola, che non ha l’acqua o la luce in casa, e che non ha assistenza medica, e che quindi ha poche possibilità di fare una vita decorosa. Però mi sembrano più felici e meno schizzati che da noi. Le ragazze poi sono veramente carine, ti sorridono gentili, per Milano invece ti capita che ti fanno pure qualche gesto se cerchi di avvicinarti.
Tocca a me parlare del cibo, non l’ha fatto ancora nessuno. Beh, io non ho problemi, e neanche gli altri, abbiamo mangiato sempre tutto, o quasi sempre. Alla scuola ci hanno servito del pesce in umido con una specie di cous-cous, e qualcuno di noi ha lasciato qualcosa nel piatto. Ci sono rimasto male quando l’hanno dato ai bambini, che seduti per terra in cerchio intorno alla grande ciotola di alluminio hanno divorato tutto, con le mani, senza posate e senza curarsi del fatto che erano i nostri avanzi. Qui da noi invece molta gente butta via tutto! Che spreco e che peccato. Altra cosa che mi viene in mente pensando al cibo sono i polli. Una volta li ho scoperti per caso nella cucina dell’albergo (che poi era fuori all’aperto) prima che li cucinassero, ancora vivi, legati insieme. Faceva effetto, ma almeno fino a quel momento hanno potuto scorazzare liberamente in giro, mentre ho visto i nostri allevamenti intensivi in TV, cavolo, terribili. Infatti, a casa non lo mangio mai il pollo.

In Mali sì, erano anche saporiti. Quando arrivavamo nei villaggi li vedevi tutti scappare via, forse sapevano che li danno da mangiare ai turisti. Souleymane ha coniato uno dei tanti tormentoni del nostro viaggio, “les poulets sont préoccupés!”, fa pure rima. Quanto ridere. Una sera non ce n’erano più, abbiamo dovuto aspettare che li portassero dal villaggio più vicino. Si vede che era passato un altro gruppo di turisti prima di noi. La cosa più buona che ho mangiato erano di frittelle che ci hanno preparato le cognate di Souleymane quando abbiamo dormito a casa sua. Non è che abbiamo dormito a casa sua, ma sopra casa sua. Le case nei villaggi Dogon in pianura sono come dei bungalow, a tetto piatto, puoi salirci e piantare la tenda.

Troppo divertente. Ognuno di noi aveva il suo igloo da campeggio, a parte “la nostra mamma” e “le roi” che ne avevano uno da due posti. Se non fosse per le zanzare (di altre bestie neanche una traccia), si potrebbe dormire solo con il sacco a pelo e basta, direttamente sotto il cielo stellato. C’è un silenzio totale, niente clacson o schiamazzi vari come da noi in città. Beh, almeno fino alle quattro del mattino, quando i galli cominciavano a cantare. Quelli che erano riusciti a sopravvivere alla cena del giorno precedente!

Dimenticavo le frittelle. Credo fossero di miglio, erano squisite, spero che ce n’erano ancora per i loro bimbi perché noi non ne abbiamo avanzata neanche una da com’erano buone. Altro che fette al latte o la roba del mulino. Comunque anche senza frittelle, io sono pronto a tornare in Mali.
Anzi, non vedo l’ora. E se non viene mio fratello, tanto meglio.

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Nostra mamma

L’anno scorso il Senegal, questa volta il Mali. Sono riuscita a trascinarli un'altra volta in Africa!
Evviva.
Souleymane mi ha soprannominato “nostra mamma” perché “le roi” usa girarmi intorno dalla mattina alla sera chiamandomi centinaia di volte per dirmi questo e quello. Così è nato il tormentone “mia mamma” -, “nostra mamma” che ci ha accompagnato durante tutto il tour. Ero sola tra tanti uomini, i miei due figli, il loro papà e il nostro amico Mauro, la nostra guida Souleymane, in pinasse lo skipper, il cuoco e il marinaio, e in fuoristrada il nostro freddoloso autista che portava il capello di lana anche in pieno sole. Purtroppo non riesco proprio a ricordarmi i loro nomi. Me li devo scrivere la prossima volta. Per Souleymane è diverso, è un nome facile, e così si chiama anche la nostra prodigiosa guida del Senegal. Un nome, una garanzia! Ci siamo trovati benissimo, e non lo scrivo perché mi leggete su questo sito, ma perché si è mostrato sempre all’altezza della situazione, soprattutto nell’unico momento di crisi, quando Federico pardon “le roi” si è ammalato.

Questo tipo di “viaggio solidale” mi è piaciuto tantissimo. Il Mali è un paese bellissimo, molto interessante. Ne avevo letto parecchio, e la realtà maliana (anche se c’è ancora più povertà) è molto simile a quella del Senegal che avevamo appena visitato o del Togo, visto tanto tempo fa. Che strana Timbuktu. Me la aspettavo un po’ più remota, ma gli ultimi lavori di restauro e riqualificazione (la pista nuova, il museo del pozzo di Bouctu, la biblioteca e tantissimi “cantieri” aperti in città) e anche l’Internet-café l’hanno fatta sembrare più simile ad altri posti in Africa, non rendendo giustizia al fascino del suo nome.

Che peccato poi che non sono riuscita a trovare il (o un) cartello con le indicazioni delle distanze, tipo “52 giorni di cammello fino a Zagor“ , “8.000 chilometri fino a Capo Nord” e così via. A Zagor, in Marocco, il cartello c’è, e mi sembra anche da qualche altra parte del mondo. Sono sicura che i turisti (io per prima) impazzirebbero, potersi fare l’autoscatto davanti al tabellone che testimonia quanto lontano dal resto del mondo si è.
Poi tutto è relativo. Il paese ha una copertura pressoché totale, almeno nelle parti che abbiamo visitato noi, di telefonia mobile: Davanti la tenda del nomade, dietro la parabola satellitare. Perfino il beduino nel deserto si è attrezzato per chiamare l’amico venditore una volta portato il turista a destinazione tra le dune, per il mitico “tè nel deserto al tramonto”. Che sollievo poter parlare nottetempo con qualcuno della compagnia assicurativa a casa per chiedere aiuto con un ragazzo malato di malaria in cura da un medico dall’aria competente (la diagnosi è stata roba di pochi secondi, la scelta terapeutica idem, forse anche per mancanza di alternative farmacologiche), ma poco comprensibile data la nostra mia scarsa conoscenza del francese, e sentirsi rassicurare “se peggiora veniamo a prendervi”. Rattrista solo il fatto che la gente del posto non è così fortunata da poter usufruire della tecnologia.

Che serve avere il telefonino (anche qui cominciano a diffondersi sempre di più tra la popolazione), se poi non si riesce a raggiungere l’ospedale perché troppo lontano, le strade sono impraticabili o perché non puoi pagarti le cure (50 Euro tra ricovero, infusioni, esame del sangue, più dello stipendio dell’insegnante).
Alla domanda cosa ci ha impressionato di più in questo paese, ognuno risponde in maniera diversa, per cui non è possibile stilare una classifica. In ogni modo, sono piaciuti moltissimo a tutti la falesia e i paesi Dogon.

Ma poi passiamo dalla preferenza del capo famiglia per i tramonti e il cielo stellato la notte sul Niger, all’emozione di Mauro nel contatto con i bambini della scuola e nei villaggi, dalla passione di Riccardo di scovare, scegliere, contrattare e acquistare oggetti di ogni natura nei mercatini e per le vie della città (anche se il ricordo più bello è quello della gita a cammello nel deserto), alla scelta di Federico, facilmente prevedibile, per la giornata indimenticabile in ospedale, e infine all’entusiasmo di “nostra mamma” alla vista inaspettata delle tante piccole moschee di fango circondate da palmeti sparsi qua e là lungo il Niger, tutti luoghi meravigliosi e affascinanti.
Beh, forse l’ospedale no, anche se abbiamo ringraziato la provvidenza della sua esistenza e di esserci arrivati in tempo !!!

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Chiudiamo questo racconto ringraziando di cuore la nostra guida, Souleymane, e tutta l’eccezionale equipe di Maya Voyages per il bellissimo viaggio, UnAltroMondoOnlus per averci fatto conoscere i suoi progetti umanitari ispirandoci un senso di ottimismo e fiducia e la consapevolezza che anche piccoli gesti di solidarietà possono fare la differenza, e infine, l’Africa per il suo fascino e il calore della sua gente, capaci di ammaliarci e di farci sognare di poter tornare presto.

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INDIMENTICABILE MALI Empty Re: INDIMENTICABILE MALI

Messaggio  MANDY Ven Set 10, 2010 4:46 pm

Senza parole, per te, la tua splendida famiglia, i bimbi africani, le emozioni che riesci a trasmettermi...grazie Niels, prima o poi ci dobbiam decidere a seguirvi, è che la paura c'è, non lo nascondo...ma voi infondete una tale tranquillità...grandiosi!

Ps: Povero tuo fratello, mica è colpa sua se s'è beccato la malaria su Very Happy
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